































a cura di Gabi Scardi
Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, Palermo
We are cannibals, siamo cannibali.
In un mondo dominato dall’ingordigia economica e politica, da un approccio estrattivista, da scelte ambientali devastanti, l’umano è predatore, pronto a fagocitare avidamente ogni cosa; incurante di tutto, anche della possibile distruzione del sistema stesso che lo sostiene. Questo constata Loredana Longo, e lo afferma con la mostra in fase di preparazione presso la galleria palermitana Francesco Pantaleone.
E’ significativo che tra le prime opere ad accogliere i visitatori nello spazio ci siano Consumption, grafico di ampie dimensioni che illustra il consumo di risorse naturali dell'ultimo secolo, realizzato direttamente su muro con inchiostro, colli di bottiglia, gocce di piombo sia Medusa: una cascata di colli di bottiglie dai bordi taglienti, che scende dal soffitto e raggiunge il pavimento. Medusa è l’omaggio a una figura di donna doppiamente vittima, della prevaricazione maschile e dell’invidia femminile. Ma la violenza genera violenza: tramutata in gorgone, Medusa reagisce da allora pietrificando chiunque le si avvicini.
Altri colli di bottiglia popolano la mostra: vengono minacciosamente branditi da mani che spuntano dalle pareti; mani fredde, cupide, con unghie dipinte d’argento. O sono conficcati direttamente nel muro, e lo fanno lacrimare; ma la colatura è tossica, di piombo. O ancora, disposti all’interno di una cornice ovale, armano uno specchio guardandosi nel quale ci si ritroverà, tra uno spuntone di vetro e l’altro, trafitti e in frantumi.
Di vetri aguzzi e di piombo sono i lunghi denti di una mandibola aperta che si trova proprio al centro dello spazio, e dà il titolo alla mostra; digrignati, pronti ad azzannare per dare sfogo all’aggressività o per soddisfare un appetito immediato.
Poco distanti alcuni cappucci a punta memori di quelli del Ku Klux Klan: The Clan of Human Eaters. Una bocca spalancata ne accentua il carattere antropomorfo. I denti di piombo sono il calco di quelli dell’artista, spesso presente dietro le proprie opere con quanto di più unico e singolare possa esistere, il corpo; perché sua è la sfida, sua la frustrazione a fronte di uno scandaloso conformismo, sua la lotta rispetto a un contesto impregnato di violenza. Per questo molte delle sue opere sono velati ritratti o autoritratti. È il caso dei cinque ovali in pelle imbottita color rosa incarnato sui quali torna la dentatura spalancata; e di Trilogia di una caduta, tre teli con sagome, sempre color della pelle, impronte di un corpo che si è lasciato cadere per terra, quasi spinto dalla volontà di farsi male nel nome di quell’esperienza estrema, ma trasformativa, catartica per antonomasia, che è il dolore. Oltre alle sagome il telo riporta bruciature, ed è disseminato di borchie di ferro appuntite: allusioni alla ferita, all’offesa, a un dolore che va oltre l’impatto della caduta. Così Longo esprime la tensione tra abbandono e azione, tra vulnerabilità e forza; asserendo anzi una vulnerabilità che è forza. Del resto nel suo lavoro il confronto tra opposti ha sempre avuto un ruolo centrale: distruzione e rinascita, subordinazione e libertà.
Loredana Longo non teme le contraddizioni, non si sottrae all’esposizione emotiva, non si tira fuori. Da sempre, attraverso le opere, performa la propria unicità e nello stesso tempo esprime la violenza strutturale, profondamente radicata nell’essere umano, nel sistema sociale ed economico; un sistema che, tra l’altro, stenta ancora a invalidare l’impostazione patriarcale che da sempre vede la donna sacrificata e oggettivata.
Se violenza e conformismo tendono a irretire la volontà, lei non si lascia paralizzare, ma si cimenta in azioni che equivalgono a un rifiuto attivo; se mirano a spegnere la vita, lei accende anzi ogni cosa di esplosiva energia.
In questa serie di opere recenti, in particolare, Longo coglie l’essenza dell’attuale fase storica, votata all’accumulo e al consumo indiscriminato, alla monetizzazione crudele e brutale, e attraversata da un parossismo bellicista.Alla cultura patriarcale contrappone indipendenza, agli effetti dell’assuefazione e dell’indifferenza contrappone cuore, coraggio, possibilità. All’abitudine a vivere la separazione, il controllo, la prevedibilità, risponde lanciandosi allo scoperto e riappropriandosi, attraverso il lavoro artistico, di ogni esperienza, comprese le più dolorose o complesse.
Anche i materiali e i pochi colori che utilizza sono veicoli di significato. Il vetro è freddo e duro, pericoloso, e nello stesso tempo fragile, delicato. Il piombo, la cui presenza domina la mostra, è duttile e malleabile, ma pesante e, soprattutto, tossico; denso dal punto di vista simbolico e ambivalente per antonomasia: già la tradizione umanistica lo associava alla melanconia saturnina e quella alchemica al sole nero, nucleo iniziale della mutazione della materia in oro.
Il piombo, tra l’altro, è capace di schermare i raggi, contraddicendo così l’idea di trasmissione, evocando un’incomunicabilità che è anch’essa un tratto dell’epoca in corso.
Ma una volta di più Longo reagisce. Alla chiusura, alle barriere, al cannibalismo che spinge a fagocitare la vita dell’altro, contrappone l’idea della condivisione. Le dà, naturalmente, forma inedita: Mangiare lo stesso piatto è una serie di piatti di ceramica morsi dall’artista e dai lavoratori della fabbrica di ceramica in cui sono stati realizzati. I denti ne hanno staccate piccole porzioni. Diciotto di questi piatti sono esposti, su due tavoli la cui altezza corrisponde a quella della bocca dell’artista. Altri sono appesi al muro.
Le porzioni di ceramica staccate a morsi vanno a comporre una collana, Bites, anch’essa in mostra. Al centro dell’opera c’è dunque l’idea di trasformazione, con un rituale a due che fa da catalizzatore. Come a dire che al divorare e consumare, esistono alternative. Siamo lontano dalle fauci affilate dei cannibali.
Sensibile al contesto, ma animata da un vitalismo irriducibile e da una forza pirotecnica, Loredana Longo con la mostra We are cannibals restituisce il senso di un’epoca feroce; ma asserisce anche la possibilità di opporre un rifiuto, di muovere “in direzione ostinata e contraria” affermando il valore dell’esperienza del mondo e della condivisione.
curated by Gabi Scardi
Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, Palermo, IT
In a world dominated by economic and political greed, an extractivist approach, and devastating environmental choices, humans have become predators, ready to greedily devour everything; indifferent to everything, even to the possible destruction of the very system that sustains them. This is what Loredana Longo observes and affirms with her upcoming exhibition at the Palermo-based Francesco Pantaleone gallery.
It is significant that among the first works to greet visitors in the space are Consumption, a large graphic that illustrates the consumption of natural resources over the past century, created directly on the wall with ink, bottle necks, and drops of lead, as well as Medusa: a cascade of bottle necks with sharp edges, descending from the ceiling and reaching the floor. Medusa is a tribute to a figure of a woman doubly victimized, by male domination and female envy. But violence breeds violence: transformed into a Gorgon, Medusa reacts from then on by petrifying anyone who comes near.
Other bottle necks populate the exhibition: they are menacingly wielded by hands that emerge from the walls; cold, greedy hands with silver-painted nails. Or they are embedded directly into the wall, making it bleed; but the dripping is toxic, made of lead. Or, arranged within an oval frame, they arm a mirror, in which one will find themselves, pierced and shattered between shards of glass.
Made of sharp glass and lead are the long teeth of an open jaw placed right in the center of the space, giving the exhibition its title; gritted, ready to bite in order to release aggression or to satisfy an immediate appetite.
Not far off, some pointed hoods reminiscent of those of the Ku Klux Klan: The Clan of Human Eaters. An open mouth accentuates their anthropomorphic character. The lead teeth are casts of the artist’s own, who is often present behind her works with the most unique and singular thing she possesses: her body. For this is her challenge, her frustration in the face of scandalous conformism, and her fight against a context steeped in violence. This is why many of her works are veiled portraits or self-portraits. Such is the case with five padded leather ovals, colored like flesh, on which the wide-open teeth return; and Trilogia di una caduta (Trilogy of a Fall), three cloths with silhouettes, also in flesh tones, imprints of a body that has let itself fall to the ground, almost pushed by a desire to hurt itself in the name of that extreme but transformative, cathartic experience that is pain. In addition to the silhouettes, the cloths bear burn marks and are scattered with sharp iron studs: allusions to the wound, the offense, and a pain that goes beyond the impact of the fall. In this way, Longo expresses the tension between abandonment and action, between vulnerability and strength; even asserting that vulnerability is strength.
Indeed, in her work, the confrontation between opposites has always played a central role: destruction and rebirth, subordination and freedom.
If violence and conformism tend to ensnare the will, she does not allow herself to be paralyzed but instead engages in actions that are equivalent to an active rejection; if they aim to extinguish life, she lights up everything with explosive energy.
In this series of recent works, in particular, Longo captures the essence of the current historical phase, devoted to accumulation and indiscriminate consumption, to cruel and brutal monetization, and crossed by a bellicose frenzy. Against patriarchal culture, she counters independence; against the effects of addiction and indifference, she opposes heart, courage, and possibility. Against the habit of living separation, control, and predictability, she responds by launching herself into the open and reclaiming, through her artistic work, every experience, including the most painful or complex.Even the materials and the few colors she uses are vehicles of meaning. Glass is cold and hard, dangerous, yet fragile and delicate. Lead, whose presence dominates the exhibition, is ductile and malleable, but heavy and, above all, toxic; dense in its symbolic significance and ambivalent by definition: the humanistic tradition already associated it with saturnine melancholy, while alchemy linked it to the black sun, the initial nucleus of the transformation of matter into gold.
Moreover, lead is capable of shielding rays, contradicting the idea of transmission and evoking a lack of communication, which is also a trait of the current era.
But once again, Longo reacts. To closure, to barriers, to the cannibalism that pushes one to devour the life of the other, she counters with the idea of sharing. Naturally, she gives it an unprecedented form: Mangiare lo stesso piatto (Eating from the Same Plate) is a series of ceramic plates bitten by the artist and the workers at the ceramic factory where they were made. The teeth have bitten off small portions. Eighteen of these plates are exhibited on two tables, the height of which corresponds to that of the artist’s mouth. Others are hung on the wall.
The ceramic portions bitten off are then used to make a necklace, Bites, also on display. At the heart of the work is the idea of transformation, with a two-person ritual acting as the catalyst. As if to say that there are alternatives to devouring and consuming. We are far from the sharp jaws of cannibals.
Sensitive to the context but driven by an irreducible vitality and a pyrotechnic force, Loredana Longo, with the exhibition We are cannibals, captures the sense of a ferocious era; but she also asserts the possibility of opposing rejection, of moving "in a stubborn and contrary direction," affirming the value of experiencing the world and sharing it.